L’anima della mia città

 

Questo libro non costituisce una rappresentazione della realtà di un percorso fotografico nel tempo ma l’espressione di un’anima. La pur grande tecnica, il sapiente uso della tecnologia in continua evoluzione non sono altro che strumenti per dipingere sensazioni, visioni e sentimenti; v’è la descrizione della realtà locale con lo sguardo colto di Vanni Calanca, teso a decrivere immagini di rilevante controllo formale, di raro equilibrio complessivo e di grande sapienza tonale.

Nella prima parte v’è un percorso artistico che si sviluppa nel tempo attraverso sfumature crepuscolari, chiaro scuri, luci ed ombre che si inseguono mirabilmente, tutti tesi non a rappresentare una realtà fotografica ma un’interpretazione di essa, a cogliere atmosfere pressanti talora tristi, talora vivaci, insomma a raffigurare l’anima viva delle cose nell’anima altrettanto viva di chi le rappresenta. In altre parole a trasfigurare un’atmosfera locale in una sensibilità universale. Il ricordo delle cose passate fa vibrare le corde del Suo cuore, ma non vi è solo nostalgia, v’è soprattutto certezza dei valori immutabili della vita e la documentazione dell’esistenza vissuta coscientemente: Vanni c’era e osservava…

Nella seconda parte, dopo aver trasformato la realtà in un palpitante ricordo, Vanni Calanca si scontra con il dramma e la tragedia del terremoto: impossibile per Lui ignorare questo accadimento così dirompente. Lui però l’affronta da par suo: sempre con la tecnica e la tecnologia ma sempre al servizio della sensibilità. Non è una testimonianza di un drammatico avvenimento ma l’espressione della sua anima che vede, riproduce, interpreta. Riemerge la sensibilità di chi racconta i fatti attraverso le immagini trasfigurate dalla luce ora sommesse e tristi ora dirompenti e aggressive, ora attraverso un sentimento di angoscia ora attraverso un piglio vigoroso: che cosa è questa contraddizione apparente se non, allo stesso tempo, l’espressione dell’anima che soffre per il dramma e gioisce per la ricostruzione, come è avvenuto per tutti noi.

Nella terza parte infatti Vanni Calanca fa emergere lo spirito dei mirandolesi che si sono inchinati davanti al dramma ma mai han- no voluto rinunciare alla speranza di ripresa e di ritorno alla vita di sempre. Un popolo che sa soffrire ma anche sperare senza piegarsi mai. Ecco un’altra volta emergere un’anima popolare che si confonde con l’anima dell’artista, che rappresenta con la sua arte fotografica ciò che vivono nella realtà le donne e gli uomini di Mirandola. Ancora una volta le luci e le ombre, i chiari e gli scuri, la nitidezza solare sono gli strumenti al servizio della sua sensibilità. Le pietre diroccate, le case e le chiese devasta- te, le lancinanti crepe sui muri riprendono vita nei ritrovati luoghi del commercio e della produzione, nelle gallerie ravvivate, nelle casette abitative costruite e così via: riprende la vita e risplende ancora una volta l’anima di una popolazione indomita degna del suo splendido passato. Vanni Calanca, anche in questo libro, non si manifesta solamente come un grande fotografo che riproduce alla perfezione la realtà delle cose ma dimostra di essere un grande pittore che prende in mano pennelli e tavolozza e trasforma mirabilmente le semplici immagini in visioni parlanti.